L’ho odiato per anni quel frullatore. Ereditato in uno di quei primi traslochi dove soldi e padelle sono ridicolmente pochi, l’ho minacciato di ultimatum tutte le volte che i suoi 300 Watt dichiarati non bastavano a soddisfare le mie velleità culinarie.
Riempirlo oltre la metà un arrogante sfoggio di consumismo, usarlo come blender una pretesa ridicolmente moderna, farci una vellutata un futile francesismo. La maionese poi deve considerarla un’offesa personale, quasi un rinfaccio del non esser nato frusta elettrica. Protesta con un monotono uggiolare del motore finché si surriscalda, affaticato. Poi la fa impazzire.
Fra i miei, i suoi, i nostri messi insieme e alcuni temibili recidivanti, la serie dei traslochi che ci racconta è tale che i primi hanno raggiunto la dignità del mito. Impossibile liberarsi di un pezzo della nostra storia ancora perfettamente funzionante. Certo, con qualche acciacco.
Un caso di morte apparente di tre giorni poi risoltosi in un ansito vivace del motore, tornato a funzionare con rinnovata antipatia. Il bicchiere graduato ormai opaco rimasto definitivamente crepato con l’ultima caduta. Ai fatti, c’era sempre qualcosa di più urgente da comprare.
Adesso non lo butterei. Certo, gli affiancherei volentieri un blender in alcune, forse in numerose, occasioni. Ma se c’è da “tritare ma non troppo” nessun processore moderno sa emulare quella consistenza di foglie non troppo maltrattate perfetta per il pesto o la texture veramente granulosa di una tapenade fatta come si deve. Credo proprio che gli cercherò su e-bay un bel bicchiere graduato di ricambio.
La verità è che non esistono casi senza speranza, esistono opportunità che non abbiamo ancora visto.
Comunque dicevamo,
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