
Umano cedere alla tentazione del “tanto ormai” e creare un cratere dove poteva restare un avvallamento del terreno.
Come quando una squadra ti vola irriverente tra le gambe e un giocatore entrato troppo tardi insegue una soddisfazione all’ottantacinquesimo di una partita stravinta. E chi poteva cedere alla superiorità dell’avversario con un onorevole 2-1 si arrende all’evidenza e fa spazio alla sconfitta fino a renderla vera.
Il mio avversario non era più debole di me, sennò avrei vinto. Come ho vinto con il digiuno tra amici. Come ho vinto con il reintegro a due. Per essere vincitore, anche perdendo, avrei dovuto crederci fino in fondo che questa del rientro a casa era una partita alla mia portata.
I pistacchi, mangiati con gusto la prima volta, ho continuato a finirli perché ormai li avevo comprati. Il gelato, che non mi andava poi tanto, l’ho preso perché a cena avevo mangiato poco e “sapevo di potere”. Erano i pasti in famiglia la sfida, il resto un inutile autogol.
Si sbaglia, si impara. In futuro voglio ricordarmi un'ovvietà:
- Saziati. La pancia e lo sguardo. Il gusto e la curiosità. Non restare con la voglia di “ancora qualcosina” è meglio che continuare a chiedersi “cos’altro potrei mangiare” a pasto finito da un pezzo.
Mi è presa questa nuova abitudine di scacciare mangiando la nausea di quando sono appena sveglia. Se a digiuno mi spazzolavo energicamente la lingua e bevevo un bel bicchiere d’acqua per farmela passare adesso mi racconto che la colazione basterà, andando a affaticare l’apparato digerente che già sta protestando per qualcosa che ho mangiato a cena. Bisogna che la perda come l’ho presa.
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