
C’è chi si infortuna gloriosamente sul campo di una qualche gara e a chi basta un signore che saliva sull’autobus. Mentre io scendevo.
La potenza dell’inerzia del suo piede distratto esplosa sul legamento della mia caviglia. Centrato con l’assoluta precisione che solo il caso saprebbe riprodurre. Quaranta giorni di stampelle, una maestra di danza incredula e un paio di ex caviglie forti da reinventare.
C’ero quando è successo. Lo so che inciampo facilmente, un po’ perché guardo sempre per aria un po’ perché da allora una caviglia ogni tanto va giù.
Eppure l’ho pensato. E detto. E ripetuto. Che è colpa mia se ora non posso iniziare a correre. Che non avrei dovuto inerpicarmi su delle zeppe così alte.
Che prima di vederlo sdoganato a Londra per me il plateau era una scarpa da drag queen.
Che per quanto Enzo e Carla caldeggino l’adozione della scarpa-marciapiede per la spesa del mattino* insistere a portarla in occasioni disinvolte è inelegante.
Che ondeggiare fuori dal negozio sportivo a venti centimetri da
terra senza che sia una metafora, portando in mano le scarpe da corsa nuove fiammanti è anacronistico.
Che rovinare a terra era il giusto contrappasso. Che una scarpa troppo alta in fondo a una gamba troppo corta sembra una protesi. Per citare Audrey “fa un po’ cafona”.
Che per quanto Enzo e Carla caldeggino l’adozione della scarpa-marciapiede per la spesa del mattino* insistere a portarla in occasioni disinvolte è inelegante.
Che ondeggiare fuori dal negozio sportivo a venti centimetri da
terra senza che sia una metafora, portando in mano le scarpe da corsa nuove fiammanti è anacronistico.
Che rovinare a terra era il giusto contrappasso. Che una scarpa troppo alta in fondo a una gamba troppo corta sembra una protesi. Per citare Audrey “fa un po’ cafona”.
E io cafona lo nacqui, vedi che tutto torna?
Alla fine della canzone si scopre sempre una mancanza nel ritornello, un difetto di fabbrica che niente potrà sanare.
Alla fine della canzone si scopre sempre una mancanza nel ritornello, un difetto di fabbrica che niente potrà sanare.
Questo non è l’atteggiamento giusto. Procuratevi un contatore che segna tutte le volte che vi fustigate con un inutile “non avrei dovuto” o col suo fratello gemello “è colpa mia”. Se come me lo vorreste ma non lo trovate in commercio provate uno di quei conta persone che usano le hostess sull’aereo prima di chiudere il portellone. Serve per registrare il numero di eventuali dispersi in caso di incidente. Non ci pensate. Lo tenete in tasca e a ogni “non avrei dovuto” fate un click. Poi vi stupite di quanti click avete registrato e forse vi decidete ad allentare la presa.
Capita a tutti di cadere. O di perdere di vista l’obiettivo, o di pensare che in fondo l’obiettivo non è così desiderabile. Quando capita porgetevi la mano. Con un altro lo fareste.
Nonostante la caduta, il corpo mi ha fatto un regalo. Non ha voluto saperne di ingrassare nonostante il tuffo di tutto rispetto nelle vecchie abitudini da BINGE EATER. E’ rimasto stabile al peso post digiuno. Per ringraziarlo ho deciso che poteva bastare. E ho cominciato a correre.
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